Studio Legale LdV Viareggio | CONTRATTO DI LOCAZIONE TRA FORMA SCRITTA ED OBBLIGO DI REGISTRAZIONE – QUALI CONSEGUENZE PER I CONTRATTI NON REGISTRATI O REGISTRATI TARDIVAMENTE?
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CONTRATTO DI LOCAZIONE TRA FORMA SCRITTA ED OBBLIGO DI REGISTRAZIONE – QUALI CONSEGUENZE PER I CONTRATTI NON REGISTRATI O REGISTRATI TARDIVAMENTE?

Cassazione civile – Sent. n. 10498 del 28 aprile 2017

La disciplina del contratto di locazione ha subito numerose modifiche nel corso degli ultimi decenni.

Alle norme codicistiche di cui agli artt. 1571-1614 c.c. si affiancano, relativamente alla locazione degli immobili urbani, le leggi speciali, ed in particolare la l. 392 del 27 luglio 1978 e la l. 431 del 9 dicembre 1998; quest’ultima intervenuta, tra l’altro, ad abrogare la disciplina previgente relativa agli immobili ad uso abitativo.

In particolare, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 431/1998 è prevista ai fini della validità dei contratti di locazione la loro formalizzazione per scritto, in passato prevista solo per le locazioni di durata ultranovennale (art. 1350 n. 8 c.c.).

La ratio di tale previsione si rinviene soprattutto nella necessità di arginare l’alto tasso di evasione fiscale nel settore edilizio, così fornendo la massima pubblicità ai contratti di locazione; la necessaria forma scritta consente, infatti, un maggiore controllo fiscale.

Peraltro, alla luce delle novità introdotte dalla Legge finanziaria n. 311/2004 (in particolare si veda art. 1 comma 346 della succitata norma) e delle importanti pronunce giurisprudenziali– anche di legittimità ( si veda infatti da ultimo Cass. sent. n. 10498 del 28 aprile 2017) – è proprio il regime fiscale di tali contratti a destare le maggiori perplessità.

Difatti, come può leggersi già nella relazione di accompagnamento alla legge n. 431/1998, il fine cui tendeva la norma era proprio quello di “introdurre misure atte a combattere il fenomeno dell’evasione fiscale che appare particolarmente presente in questo settore”.

Nel sistema previgente, regolato dalla legge n. 392/1978 (c.d. legge “sull’equo canone”), era previsto un meccanismo di quantificazione del canone basato su parametri oggettivi; ciò, però, ha portato alla proliferazione di contratti di locazione ‘’in nero’’ poiché i locatori perlopiù preferivano non utilizzare i criteri stabiliti dalla legge, che spesso determinavano canoni di locazione irrisori, così violando il disposto normativo.

Risultavano così ritirati dal ‘’mercato delle locazioni’’ numerosi immobili urbani; ciò rese pertanto necessario provvedere ad una riforma della disciplina locatizia.

La circostanza che la forma scritta sia prevista, a pena di invalidità, anche per i contratti di locazione “turistici” e per quelli che hanno ad oggetto immobili di lusso, conferma ulteriormente che la suddetta formalità non sia posta ad esclusiva garanzia del conduttore, bensì intenda tutelare interessi ‘’generali’’.

 

Quindi, quid iuris per i contratti di locazione privi della forma scritta?

Con la sentenza 17 settembre 2015 n. 18214, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno composto il contrasto giurisprudenziale che si era formato in materia, stabilendo che si configura un’ipotesi di nullità relativa del contratto di locazione, e quindi rilevabile solo dal conduttore, unicamente in presenza di un abuso da parte del locatore, atto a imporre la stipulazione solo verbale del contratto di locazione.

Al di fuori di tale specifico caso, la mancanza della forma scritta determina una nullità assoluta, insanabile e rilevabile da entrambe le parti, oltre che d’ufficio.

Occorre comunque osservare che tali ultime conclusioni, cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità con la sent. n. 18214 del 17 settembre 2015, si inseriscono nel quadro normativo precedente alla riforma operata dalla l. 28 dicembre 2015 n. 208 che ha radicalmente modificato il menzionato art. 13 L. 431/1998.

Da tale norma è infatti oggi espunto ogni riferimento ai rapporti di locazione ‘di fatto’; la possibilità per il conduttore di proporre in giudizio l’azione al fine di far ricondurre la locazione alle condizioni conformi di cui all’art. 2 comma 2 o comma 3 dell’art. 2 è ammessa nei soli casi in cui egli abbia versato al locatore un canone di locazione superiore a quello massimo previsto dagli accordi conclusi in sede locale o ove il locatore non abbia provveduto alla prescritta registrazione del contratto nel termine di trenta giorni.

Per ciò che attiene invece il profilo prettamente fiscale, occorre menzionare le fonti regolanti la materia: in primo luogo il T.U. sull’imposta di registro (DPR 131/1986) che prevede la necessità della registrazione del contratto di locazione entro 30 giorni dalla sua stipulazione, ed in secondo luogo la Legge finanziaria 2005 ( L. 311/2004 art. 1 comma 346).

In forza di tale novella, a far data dal 1 gennaio 2005, quindi, i contratti di locazione aventi ad oggetto unità immobiliari o porzioni di esse sono nulli se, ricorrendone le condizioni, non sono registrati.

Quindi, quali conseguenze sono previste in caso di tardiva o addirittura mancata registrazione dei contratti di locazione?

Prima della dichiarazione di incostituzionalità per eccesso di delega pronunciata dalla Consulta con sent. 50/2014, l’art. 3 commi 8 e 9 del d.lgs 23/2011 conteneva la disciplina da applicarsi nelle ipotesi di mancata registrazione entro il termine di trenta giorni (limite temporale assente nella Legge Finanziaria 2005): “ a) la durata della locazione è stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d’ufficio; b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all’articolo 2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998; c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l’adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell’aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti. (11).
9.Le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ed al comma 8 del presente articolo si applicano anche ai casi in cui: a) nel contratto di locazione registrato sia stato indicato un importo inferiore a quello effettivo; b) sia stato registrato un contratto di comodato fittizio.

Si prevedeva quindi la sostituzione del contratto non registrato con un contratto le cui condizioni erano legalmente prestabilite, nonché la possibilità di sanatoria, con registrazione tardiva, con efficacia ex tunc.

Solo con la sentenza delle SS.UU. n. 18213/2015 è stato posto fine all’annoso dibattito in materia.

In particolare la Suprema Corte prende in considerazione le fonti in materia tra cui, oltre alla già citata legge finanziaria del 2005 e all’art. 3 D.lgs. 23/2011, deve rammentarsi anche lo Statuto dei diritti del Contribuente (L. 212/2000 art. 10 commi 1 e 3) a tenore del quale “le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto”.

In proposito, occorre ricordare che già in passato, con la sentenza n. 333/2001 la Consulta era intervenuta in ambito di rapporti tra diritto civile e normativa fiscale in materia locatizia, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 l. 432/1998 nella parte in cui poneva, quale condizione per la messa in esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile, tra l’altro, la dimostrazione dell’avvenuta registrazione del contratto di locazione.

Molteplici sono state le ricostruzioni dottrinali e giurisprudenziali in merito alla natura di tale obbligo di registrazione previsto per il contratto di locazione e le conseguenze della registrazione tardiva.

1) Da un lato, la dottrina e alcuni tribunali di merito hanno considerato l’obbligo di registrazione non come requisito di validità del contratto stesso, bensì come condizione sospensiva di efficacia dell’accordo di locazione; pertanto, in caso di registrazione tardiva, il rapporto di locazione acquista piena efficacia dal momento della decorrenza prevista nel contratto. Secondo questa ricostruzione, la regolarizzazione fiscale del contratto si pone quale condicio iuris di efficacia dell’accordo che, ove intervenuta successivamente, ne determina comunque l’efficacia ex tunc ex art. 1360, comma 1 c.c..

2) Alcuni tribunali di merito, tra cui Trib. Catanzaro (27.5.2008), ritengono che la fattispecie dovrebbe piuttosto ricondursi alle ipotesi di nullità relativa posta a presidio del solo conduttore.

3)  Una posizione minoritaria fa discendere dalle previsioni della legge finanziaria una vera e propria nullità assoluta, rilevabile d’ufficio e non suscettibile di sanatoria alcuna a seguito di tardiva registrazione.

4) Secondo Cass. 10498/2017, deve essere invece accolta la ricostruzione di altri tribunali di merito, secondo cui “… la norma della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, non introduce una condizione di efficacia, in quanto, come indicato dalla Corte Costituzionale (ordinanze nn. 420 del 2007, 389 del 2008 e 110 del 2009), opera su un piano sostanziale introducendo una nullità non prevista dal codice civile, con la conseguenza che la norma tributaria viene elevata a rango di norma imperativa, la cui violazione determina la nullità del negozio ex art. 1418 c.c., suscettibile però di sanatoria con effetti ex nunc a seguito di tardiva registrazione.”

La sentenza da ultimo citata approda quindi alle conclusioni cui era già pervenuta la Consulta, qualificando la nullità del contratto di locazione per mancata registrazione ex art. 1 comma 346 L. 311/2004 come nullità per violazione di norme imperative di cui all’art. 1418 c.c..

La norma infatti si considera pensata per la tutela non solo degli interessi della parte più debole del contratto, ma anche per la tutela di interessi generali e dell’obbligo, costituzionalmente sancito, di ognuno di concorrere alla spesa pubblica.

Secondo questa ultima ricostruzione, considerare quale mera condizione la necessità di registrazione del contratto, svuoterebbe di contenuto la parola “nullità” espressamente adottata dal legislatore del 2004.

La Suprema Corte non nega però che quella in esame sia una nullità atipica, in quanto dipendente ad elementi esterni al negozio; è proprio però tale aspetto che consente di ritenere sanante una registrazione successiva con effetti retroattivi.

Infatti, dopo la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 3 commi 8 e 9 D.lgs. 23/2011, la normativa attualmente vigente (L. 311/2004 art.1 comma 346) non prevede alcun riferimento al termine entro cui il contratto deve essere registrato; pertanto, a parere della Cassazione del 2017, a prescindere dal momento in cui il contratto di locazione venga registrato, questo deve considerarsi valido.

Pertanto, alla luce delle considerazioni supra illustrate deve concludersi che la nullità per mancata registrazione del contratto di locazione è da considerarsi ‘’atipica’’ e consente quindi una sanatoria ex tunc.

Con un contratto di locazione non registrato, il locatore si trova nell’impossibilità di riscuotere i canoni di locazione (che sarebbero dovuti in forza di accordo nullo), mentre il conduttore avrebbe diritto a pretendere la ripetizione di quanto già versato.

Viceversa, tramite la stabilizzazione postuma del rapporto, il conduttore di immobili ad uso abitativo beneficia della maggiore stabilità del rapporto locatizio, rimanendo indenne da eventuali azioni per il rilascio, mentre nelle locazioni ad uso diverso non incorrerà nel rischio della perdita dell’avviamento o del diritto alla prelazione.

Tramite la sanatoria ex tunc, quindi, vengono fatti salvi gli accordi precedentemente raggiunti tra le parti contrattuali; tale soluzione risulta peraltro quella maggiormente coerente con il sistema tributario attuale, ove il principio tradizionale della non interferenza della norma tributaria con la disciplina civilistica del contratto sembra ormai superato.