Studio Legale LdV Viareggio | Cos’è la step-child adoption? Breve analisi dell’istituto e esame della peculiare decisione del Tribunale di Padova del 6.06.2018
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Cos’è la step-child adoption? Breve analisi dell’istituto e esame della peculiare decisione del Tribunale di Padova del 6.06.2018

Negli ultimi anni il termine stepchild adoption è entrato a far parte del gergo, soprattutto giornalistico, del nostro Paese.
E’ stato soprattutto l’annoso dibattito che si è aperto intorno ai contenuti e alle previsioni della L. n. 76/2016, meglio nota come “Legge Cirinnà”, a porre luce su questo particolare istituto che, però, era presente nel nostro ordinamento già dal 1983.
La citata legge, nota per aver introdotto una disciplina ad hoc per le unioni same-sex e aver esteso ai conviventi molti diritti sino a quel momento riconosciuti alle sole coppie coniugate, conteneva, nella propria stesura originaria, l’art. 5 che testualmente recitava: “All’articolo 44, comma 1, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n. 184, dopo la parola: “coniuge” sono inserite le seguenti: “o dalla parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso” e dopo le parole: “e dell’altro coniuge” sono aggiunte le seguenti: “o dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”. 

La norma proposta, non entrata mai in vigore e al centro di un vivace dibattito politico, avrebbe quindi ampliato l’ambito applicativo di una norma che, nel nostro ordinamento, risultava, all’epoca, in vigore già da oltre vent’anni.

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Le adozioni c.d. speciali

Cosa prevede quindi il citato art. 44, comma 1, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n. 184 (meglio nota come Legge sulle adozioni)?
Innanzitutto, tale disposizione è compreso nel Capo I del Titolo IV, la cui  rubrica (“Dell’adozione in casi particolari e dei suoi effetti”) anticipa già che le norme disciplinate in tale capo costituiscono ipotesi “speciali” rispetto alla disciplina generale dettata negli articoli precedenti.
L’articolo 44, nella versione oggi vigente, recita espressamente:

Art. 44.
1. I minori possono essere adottati anche
quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7:
a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre;
b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia  figlio  anche  adottivo dell’altro coniuge;
c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate  dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre;
d)  quando vi sia la constatata impossibilita’  di  affidamento preadottivo.
2. L’adozione, nei casi indicati nel comma 1, e’ consentita anche  in presenza di figli legittimi. 3. Nei casi di cui alle lettere a), c), e d) del comma 1 l’adozione e’ consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non e’ coniugato. Se l’adottante e’ persona coniugata  e  non  separata,  l’adozione  può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi.
4. Nei casi  di  cui  alle  lettere  a)  e  d)  del  comma  1  l’eta’ dell’adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare”

In generale, la norma si apre consentendo l’adozione anche al di fuori dei casi previsti dall’art. 7 comma 1, ovvero al di fuori delle ipotesi in cui i minori si trovino in stato di abbandono, ipotesi che ricorre ove sia accertata una situazione “di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio.
La situazione di abbandono sussiste, sempre che ricorrano le condizioni di cui al comma 1, anche quando i minori si trovino presso istituti di assistenza pubblici o privati o comunità di tipo familiare ovvero siano in affidamento familiare.” (art. 8 L. ad.)

La disposizione di cui all’art. 44 sopra citata, quindi, consente di procedere all’adozione anche quando il minore non si trovi in stato di abbandono. 

Ulteriore peculiarità, rispetto alla disciplina dell’art. 6 della medesima legge, che viceversa richiede che gli adottanti siano coniugati tra loro da almeno tre anni (o che abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, nel caso in cui il tribunale per i minorenni accerti la continuità e la stabilità della convivenza, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto) è costituita dalla circostanza che possono accedere ad alcune delle fattispecie di adozioni c.d. “particolari” anche coloro che non siano legati da unione matrimoniale, quindi anche le coppie conviventi o i single.

La ratio che ha spinto il Legislatore ad introdurre tale particolare istituto deve rinvenirsi nella necessità di tutelare tutte quelle situazioni in cui, pur non versando il minore in stato di abbandono, egli sia entrato a far parte di un nucleo familiare, stabile, affettivo  e duraturo diverso da quello biologico.
Deve ritenersi che, nei casi disciplinati dall’art. 44, l’interesse del minore sia perseguito attraverso la formalizzazione giuridica di quei particolari rapporti affettivi, stabili e significativi, già insorti tra l’adottante e il minore.

In particolare, nelle ipotesi di cui alle lettere a), b) e c) la ratio che consente l’adozione si rinviene nella esigenza di salvaguardare le relazioni affettive dell’adottando con il parente o con un soggetto con cui il minore, orfano di entrambi i genitori, aveva un “preesistente rapporto stabile e duraturo”, o con il coniuge del genitore o con i soggetti affidatari, permettendo contestualmente al minore di conservare i rapporti con i membri del nucleo familiare originario.

Da ultimo, è importante evidenziare che quelle appena esaminate devono considerarsi come ipotesi di adozioni c.d. “non legittimanti o non piene”, in quanto non attribuiscono all’adottato un vero stato di figlio e, soprattutto, non interrompono il rapporto con la famiglia biologica di origine del minore. Con tale tipo di adozione viene esclusa la nascita di un nuovo rapporto parentale con la famiglia dell’adottante. Ciò non rende operativo l’art. 253 c.c., pertanto è ammissibile che il riconoscimento del figlio avvenga anche dopo la pronuncia di adozione. Il riconoscimento, in questo caso, non farebbe sorgere in capo al genitore che riconosce l’esercizio della responsabilità genitoriale 

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Stepchild adoption

In questa sede, l’attenzione si porrà in particolare sulla fattispecie di cui alla lettera b) del citato articolo 44 che, in una relazione presente sul sito ufficiale della Camera dei Deputati viene così definita: “Si tratta di una forma di adozione “mite”, che mira a tutelare il diritto del minore ad avere una famiglia in situazioni in cui la legge non avrebbero consentito di giungere all’adozione piena ma nelle quali, tuttavia, rappresentava una soluzione auspicabile. La stepchild viene, quindi, generalmente utilizzata quando due adulti formano una nuova famiglia e uno di loro, o entrambi, hanno un figlio avuto da una precedente relazione. Generalmente queste famiglie (cd. famiglie ricostituite) sono la conseguenza di divorzi, separazioni, famiglie mononucleari o della morte di un coniuge, oppure famiglie omogenitoriali, dove il figlio nasce all’interno della coppia gay o lesbica grazie alla maternità surrogata o all’inseminazione eterologa. L’istituto è finalizzato, da un lato, a consolidare i legami familiari in una famiglia ricostituita, dall’altro, a tutelare l’interesse del minore a veder garantita l’instaurazione di un rapporto giuridico analogo a quello genitoriale con un soggetto al quale non è legato biologicamente, ma che è determinato ad assumere nei suoi riguardi un ruolo genitoriale e per far inoltre continuare il legame affettivo nei confronti di entrambi i genitori.”

In sintesi, quindi, la c.d. “step-child adoption“, ricorre nella particolare ipotesi di adozione da parte di un coniuge del figlio minore, anche adottivo, dell’altro coniuge. 

La domanda di adozione si propone al Tribunale per i minorenni del luogo in cui si trova il minore. 

Proposta la domanda, il Tribunale verificherà sia la ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 44 della citata legge, sia indagherà sul preminente interesse del minore, disponendo l’esecuzione di adeguate indagini da effettuarsi, tramite i servizi locali e gli organi di pubblica sicurezza, sull’adottante, sul minore e sulla di lui famiglia.

L’indagine avrà ad oggetto, ai sensi dell’art. 57:

a) l’idoneità affettiva e la capacità di educare e istruire il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l’ambiente familiare degli adottanti;

b) i motivi per i quali l’adottante desidera adottare il minore; c) la personalità del minore;

d) la possibilità di idonea convivenza, tenendo conto della personalità dell’adottante e del minore.

Non deve escludersi, a  priori, la step-child adoption nelle more della separazione personale tra i coniugi, tranne nei casi in cui questa sia altamente conflittuale e pertanto il clima familiare non consenta il sereno sviluppo e non risponda al preminente interesse del minore.
L’adozione del figlio del coniuge premorto, viceversa, potrebbe essere ricondotta alle ipotesi di cui alla lettera a, ove l’adottante avesse un rapporto stabile e duraturo con l’adottando.
Se uno dei due coniugi decedenelle more del giudizio di adozione, ma dopo aver espresso il proprio consenso, è possibile procedere comunque con l’adozione, su istanza dell’altro coniuge. 

Come anticipato, l’approvazione della Legge Cirinnà nella sua stesura originaria, avrebbe esteso sotto il profilo legislativo tale opportunità anche alle coppie omogenitoriali, alle quali, comunque, taluni tribunali hanno consentito l’accesso al medesimo istituto attraverso l’applicazione della lettera d) del più volte citato art. 44. 

Per procedere a questo tipo di adozione, devono acconsentivi l’adottante e l’adottando, qualora maggiore di 14 anni (se maggiore di dodici anni deve comunque essere sentito personalmente, mentre se infradodicenne deve essere sentito in relazione alla sua capacità di discernimento).
In ogni caso, ove l’adottando sia infraquattordicenne, la sua adozione deve essere disposta dopo che sia stato sentito il suo legale rappresentante.
È necessario altresì il consenso dei genitori e del coniuge dell’adottando: ove tale consenso sia negato, il Tribunale, ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando, o ove non sia possibile ottenere il consenso per incapacità o irreperibilità del soggetto tenuto a prestarlo, pronuncerà comunque l’adozione, “salvo che l’assenso sia stato rifiutato dai genitori esercenti la la responsabilità genitoriale o dal coniuge, se convivente, dell’adottando” (cfr. art. 56 L. ad.). 

Qualora il genitore biologico all’epoca dell’adozione non avesse riconosciuto il figlio, la posizione di quest’ultimo è assimilabile a quella del minore abbandonato, cosicché nessun interpello è richiesto ai fini della pronuncia di adozione. 

La Corte di Cassazione (sent. 30.1.1998, n. 978) ha affermato che affinché possa darsi luogo alla c.d. stepchild adoption, tra gli altri presupposti, occorre che sussista un rapporto affettivo tra adottante e adottato “necessariamente collegato ad una situazione di convivenza”. Tale ultimo requisito risulta quanto mai rilevante nelle ipotesi in cui l’altro genitore biologico sia, al momento della domanda di adozione presentata dall’adottante, ancora in vita, non sia decaduto dalla responsabilità genitoriale e non abbia di fatto abbandonato il minore.

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Ferma la circostanza che la c.d. stepchild adoption configuri un’ipotesi di adozione non legittimante, non piena, all’esito della quale l’adottato mantiene comunque i rapporti con il genitore biologico, come si articolano i rapporti tra il nucleo familiare biologico e il nucleo familiare c.d. “adottivo”?

Non v’è dubbio che si ricorra in un’ipotesi di doppio status .

Analizziamo brevemente gli aspetti più rilevanti:

  • cognome: l’art. 55 della Legge sulle adozioni rinvia a numerose norme del codice civile, tra cui, in particolare l’art. 299 c.c.: l’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio. Tale disposizione si applica anche quando la filiazione sia stata accertata o riconosciuta successivamente all’adozione;
  • diritti e doveri dell’adottato: l’art. 55 rinvia inoltre all’art. 300 c.c.. L’adottante assume, al posto dei genitori biologici gli obblighi di cui all’art. 147 c.c. nei confronti del minore, mentre il minore mantiene tutti i diritti e gli obblighi nei confronti della propria famiglia di origine (diritti successori, obblighi alimentari..).
    L’ adozione non attribuisce all’adottante alcun diritto di successione ed i diritti dell’adottato nella successione dell’adottante sono regolati dalle norme contenute nel libro II del codice civile (art. 304 c.c.).;
  • rapporti familiari: l’adozione dell’art. 44 non crea nessun rapporto civile tra adottante – famiglia dell’adottato, né tra adottato e parenti dell’adottante, salve eccezioni previste dalla legge;
  • esercizio della responsabilità genitoriale: deve ritenersi che esso spetti all’adottante congiuntamente al convivente, già genitore dell’adottato, al pari di ciò che avviene nelle ipotesi di adozione piena/legittimante.
    All’adottante, inoltre, compete l’amministrazione sui beni del minore adottato e, sebbene sia esclusa la titolarità dell’usufrutto legale sugli stessi, è prevista la possibilità di impiegare le rendite che derivano da detti beni per far fronte alle spese di mantenimento, istruzione ed educazione del minore, fermo re- stando l’obbligo di investirne l’eccedenza in un fondo fruttifero (art. 48, comma 3, Legge n. 184/1983).
    Secondo l’orientamento prevalente, il genitore non affidatario manterrà un potere di visita del minore, figlio biologico, nonché di controllo sull’operato degli esercenti la responsabilità genitoriale.
    Secondo la giurisprudenza, il genitore adottivo acquista il lato esterno della responsabilità, che si estrinseca nella rappresentanza del minore per gli atti civili e per l’amministrazione del patrimonio, mentre il c.d. lato interno della responsabilità “includente il dovere di cura e di educazione, esso non si estingue in capo al genitore naturale (salvo il caso di abbandono, incapacità e decadenza dalla potestà [ora responsabilità genitoriale]) e va coordinato con la potestà dell’adottante attraverso un’attività di guida e di controllo“ (Cass., 30.1.1998, n. 978).
    A quest’ultimo, come visto, è attribuito il diritto di esprimere il proprio consenso all’adozione del proprio figlio da parte del nuovo coniuge dell’altro genitore, ed il cui mancato consenso potrà dar luogo comunque all’adozione solo qualora sia ritenuto ingiustificato dal Tribunale o qualora il padre biologico sia irreperibile.

Cessazione della responsabilità genitoriale 

Nel caso di cessazione della responsabilità genitoriale, ai sensi dell’art. 50 L. ad., “il tribunale per i minorenni su istanza dell’adottato, dei suoi parenti o affini o del pubblico ministero, o anche d’ufficio, può emettere i provvedimenti opportuni circa la cura della persona dell’adottato, la sua rappresentanza e l’amministrazione dei suoi beni, anche se ritiene conveniente che l’esercizio della potestà sia ripreso dai genitori. Si applicano le norme di cui agli articoli 330 e seguenti del codice civile.”
Nel caso di revoca dell’adozione, che la legge riserva a casi molto particolari e connotati da evidente gravità (es. attentato alla vita del coniuge o commissione di gravi delitti), il tribunale potrebbe ritenere opportuno disporre una riespansione della responsabilità genitoriale in capo al genitore biologico, previo apposito provvedimento giudiziale.
Si verificherebbe, quindi, una sorta di ‘successione’ nella predetta responsabilità da parte del genitore biologico nella posizione fino a quel momento attribuita all’adottante
Ciò risulta rispondente alla primaria esigenza di non creare lacune nella responsabilità genitoriale.

  • Cosa accade invece alla responsabilità genitoriale dell’adottante in caso di scioglimento del rapporto di coniugio tra gli adottanti?

La sentenza del Tribunale di Padova, citata nel titolo del presente articolo, si è trovata ad esaminare un caso particolare. 

Nel caso sottoposto al tribunale padovano, il coniuge della madre biologica decideva di adottare ai sensi dell’art. 44 lett. b) L. 184/1983 il figlio che quest’ultima aveva avuto con un uomo che, all’epoca dei fatti, non aveva riconosciuto il proprio discendente. In seguito all’adozione, veniva pronunciata sentenza di separazione personale dei coniugi, nelle more della quale, interveniva altresì il riconoscimento del figlio da parte del padre biologico. 

Nel successivo giudizio di divorzio congiunto tra i coniugi “adottanti”, interveniva anche il padre biologico; in tale sede, le tre parti chiedevano congiuntamente al Tribunale di stabilire che il figlio minorenne venisse affidato ai genitori biologici, mantenendo in capo al padre adottivo il diritto di frequentare settimanalmente il figlio adottivo, nonché il diritto di vigilanza e l’obbligo di contribuire in parte al mantenimento del minore. 

Sul punto, il tribunale Padovano, accoglieva le conclusioni rassegnate congiuntamente dai coniugi, ritenendo che la soluzione proposta rispondesse all’interesse preminente del minore, per lo stesso motivo, riteneva ammissibile l’intervento spiegato nel giudizio da parte del padre biologico.

La sentenza testualmente recita “non vi è sostituzione tra due genitori (padre adottivo e padre biologico) con venir meno della responsabilità genitoriale in capo al genitore adottivo, bensì la previsione di una diversa regolamentazione delle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale, nel senso della permanenza in capo al genitore adottivo di un dovere di vigilanza e controllo ex art. 337-quater, comma 3°, cod. civ., oltre che di un rapporto effettivo con il figlio minore e dell’obbligo di mantenere lo stesso

L’art. 50 L. ad. che disciplina le ipotesi di cessazione della potestà (rectius responsabilità) genitoriale da parte dell’adottante nei confronti dell’adottato, può trovare applicazione anche laddove, sopravvenuta la crisi genitoriale, il tribunale disponga l’affidamento del figlio ad uno solo dei due coniugi; l’affidamento monogenitoriale, in questo caso, configurerebbe quindi una ipotesi di cessazione della “potestà” genitoriale contemplate dall’art. 50 l.ad.

 

fonti: https://www.diritto.it/laffidamento-del-figlio-adottato/