09 Lug Quale regime patrimoniale applicabile alle unioni same sex celebrate all’estero tra coppie miste?
Il quesito sottoposto concerne l’indagine in merito ad eventuali diritti (reali o di credito) che una cittadina statunitense, all’esito dello scioglimento del matrimonio same sex contratto negli Stati Uniti nell’anno 2018, potrebbe vantare su beni immobili in Italia acquistati dalla coniuge, cittadina italo – britannica in epoca precedente al matrimonio.
Occorrerà, quindi, preliminarmente, indagare su quale sia la legge nazionale applicabile alla anzidetta unione con carattere transnazionale e, conseguentemente, quale sia il regime patrimoniale eventualmente applicabile ai beni acquistati prima della celebrazione del matrimonio da uno dei membri del rapporto.
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- Sull’individuazione della normativa applicabile ratione temporis
In primo luogo, considerando l’epoca della celebrazione del matrimonio, occorre individuare la disciplina applicabile al rapporto anzi descritto avente evidenti implicazioni transfrontaliere.
Le due fonti che si occupano delle unioni omoaffettive, e del regime patrimoniale applicabile, sono la l. 218/1995 e i Regolamenti UE c.d. “gemelli” sottoscritti in data 24 giugno 2016 nn. 1103 e 1104/2016.
Tuttavia, la chiara previsione dell’art. 79 dei Regolamenti, che posticipa l’entrata in vigore degli stessi al 29 gennaio 2019, consente agilmente di identificare la l. 218/1995 quale normativa applicabile ratione temporis ad un’unione celebrata nel 2018.
- Sull’applicabilità dell’art. 32 bis della l. 218/1995
La l. 218/1995, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, applicabile al caso in esame, nella sua formulazione originaria era priva di una disciplina regolante le unioni omo affettive; ciò era coerente con il quadro normativo nazionale dell’epoca che, sino al 2016 è rimasto sfornito di una regolamentazione nazionale disciplinante le formazioni sociali diverse dai matrimoni eterosessuali.
Tuttavia, in seguito all’emanazione della c.d. Legge Cirinnà (n. 76/2016) che ha introdotto la “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, il legislatore (anche sulla spinta dei due Regolamenti UE anzi citati) è intervenuto, con il decreto legislativo n. 7/2017, per adeguare anche il diritto internazionale privato a tale novità, introducendo gli artt. 32 bis, ter, quater e quinquies della L. 218/1995.
Per rispondere al quesito posto, occorrerà esaminare l’art. 32 bis la cui rubrica attualmente recita “Matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani dello stesso sesso”.
Un breve digressione merita l’iter parlamentare che ha portato all’approvazione della norma nella sua formulazione attuale la quale impone la c.d. conversione degli effetti matrimonio omoaffettivo celebrato all’estero in una unione civile disciplinata dalla legge italiana, ossia dalla L. 76/2016.
Infatti, l’art. 1, comma 28 L. 76/2016, contiene una espressa delega al Governo affinchè, mediante decreti legislativi, adotti, entro i sei mesi successivi all’entrata in vigore della legge, “uno o più decreti legislativi in materia di unione civile tra persone dello stesso sesso nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: (…) b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l’applicazione della disciplina dell’unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all’estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo”.
In applicazione della delega anzidetta, veniva elaborato uno schema di decreto legislativo, nella cui Relazione Illustrativa trasmessa alle Camere per la discussione, si legge quanto segue:
“Per quanto riguarda il matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all’estero la soluzione obbligata è quella per cui lo stesso produce in Italia gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana: indipendentemente dalla cittadinanza (italiana o straniera) delle parti, la disciplina di tale unione va desunta dalla legge n. 76 del 2016.
Per quanto riguarda invece la regolamentazione dell’unione civile costituita all’estero da coppie dello stesso sesso, sebbene prima facie l’intenzione del legislatore delegante possa apparire volta a ricondurre tutte le unioni costituite all’estero (da italiani e stranieri) alla disciplina della legge n. 76 del 2016, una soluzione più articolata appare doverosa secondo una lettura delle disposizioni di delega orientata ai principi costituzionali e sovranazionali, nel rispetto quindi degli obblighi derivanti dal diritto internazionale e dell ‘Unione europea.
Anzitutto, sul piano della razionalità della previsione legislativa, l’applicazione in via esclusiva e generalizzata della legge italiana a tutte le situazioni create all’estero porrebbe fuori gioco il diritto internazionale privato (il cui scopo è il coordinamento con gli ordinamenti stranieri), svuotando di fatto la delega del proprio oggetto.
La ratio del criterio direttivo contenuto nella delega appare semmai ragionevolmente connessa all’esigenza di evitare comportamenti elusivi della disciplina italiana, di cittadini italiani che si rechino all’estero per sottrarsi alla legge n. 76 del 2016 in una logica di system shopping.
Si possono dunque sottrarre al normale gioco delle norme di diritto internazionale privato i casi nei quali una situazione “totalmente italiana” sia stata deliberatamente trasformata in “transnazionale” allo scopo di applicare un regime giuridico non previsto dalla legge italiana. In questi casi l’unione “estera” andrebbe riconosciuta come produttiva degli effetti previsti non già dalla legge straniera bensì dalla legge 76/2016.
Nel caso di unione civile costituita all’estero da cittadini italiani abitualmente residenti all’estero e/o da stranieri, il carattere intrinsecamente transnazionale del rapporto implica la normale operatività delle norme della legge n. 218 del 1995 e una soluzione rigidamente volta ad imporre comunque la disciplina italiana apparirebbe ingiustificata e irragionevole in riferimento all’articolo 3 della Costituzione e potrebbe costituire un ostacolo alla libera circolazione nell’ambito dell’Unione europea.”.
Tuttavia, la Commissione affari Costituzionali del Senato e le Commissioni Giustizia di Camera e Senato hanno modificato la rubrica dell’articolo (la cui precedente formulazione recitava “Art. 32-bis Matrimonio contratto all’estero da persone dello stesso sesso) ritenendo che una formulazione di tale ampiezza contraddicesse i principi generali in materia di diritto internazionale privato, venendo a determinare una situazione di disparità di trattamento tra coppie dello stesso sesso straniere coniugate all’estero e coppie unite all’estero da un vincolo diverso dal matrimonio.
La nuova rubrica della norma che attualmente recita “ Art. 32-bis (Matrimonio contratto all’estero da persone da cittadini italiani dello stesso sesso” ha ingenerato dubbi sulla possibilità che l’articolo anzi menzionato, nella sua vigente formulazione, possa includere non solo i matrimoni same sex celebrati all’estero tra cittadini entrambi italiani, ma anche tra coppie c.d. “miste” in cui solo una delle parti abbia cittadinanza italiana.
Sul punto, si veda il contributo di D. Zannoni che in “Gli effetti nell’ordinamento italiano delle unioni civili e dei matrimoni same sex conclusi all’estero” [1] afferma quanto segue “In ossequio ad una interpretazione rigorosa della delega legislativa, l’originaria formulazione dell’art. 32-bis disponeva che il matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso dovesse produrre gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana, senza che quindi avesse alcuna rilevanza la cittadinanza, italiana o straniera, delle parti.
Tale formulazione aveva però subito attirato le critiche di chi aveva evidenziato l’ingiustificata differenza di trattamento tra matrimoni – regolati appunto dall’art. 32-bis – e unioni civili contratte all’estero da persone dello stesso sesso, che l’art. 32-quinquies solo in presenza di certe circostanze sottopone alla legge italiana.
Infatti, prescrivere in ogni caso l’applicazione della legge italiana ai vincoli coniugali, differenziando invece il trattamento delle unioni civili a seconda del legame esistente fra l’unione civile e il nostro ordinamento, sembrava irragionevolmente discriminatorio e non imposto dal tenore della delega legislativa.
A seguito dei pareri previsti dalla procedura indicata dalla stessa legge n. 76/201613, l’art. 32-bis, ora intitolato “Matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani dello stesso sesso” ha assunto una portata limitata ai soli matrimoni contratti all’estero da cittadini italiani, che vengono riqualificati in unione civile (cd. downgrade recognition)”. Tuttavia, nel menzionato contributo, l’Autore prosegue affermando che “ L’art. 32-bis lascia tuttavia aperte alcune questioni, in primo luogo in relazione al suo ambito soggettivo di applicazione. Sono sicuramente inclusi nell’art. 32-bis i matrimoni celebrati tra due italiani, e sono sicuramente esclusi i matrimoni tra due stranieri. E invece dubbia la disciplina dei matrimoni misti, celebrati cioè tra un cittadino italiano e uno straniero. Sembra preferibile l’interpretazione secondo cui, ai fini dell’applicazione della legge italiana sulle unioni civili, è sufficiente la cittadinanza italiana di uno dei due coniugi.
A questo risultato si perviene valorizzando il dato sintattico (da cittadini italiani con persona dello stesso sesso), e raffrontando il tenore dell’art. 32-bis con l’art. 32-quinquies che, con la sua inequivoca formulazione, rende chiara la sua applicabilità alle sole unioni civili contratte tra due cittadini entrambi italiani. È vero che la rubrica legis dell’art. 32-bis, si riferisce ai matrimoni contratti ‘all’estero da cittadini italiani dello stesso sesso’, e potrebbe condurre ad interpretarne restrittivamente l’ambito di applicazione come limitato ai soli matrimoni conclusi da persone entrambe di cittadinanza italiana. Ma in caso di difformità tra rubrica e testo di una disposizione legislativa, è la prima a dovere essere adeguata al secondo”.
E anche, del medesimo tenore, F. Pesce in “La legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato alla prova della nuova disciplina sulle unioni civili” pubblicato sulla “Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità̀ di genere“[2] che afferma quanto segue “ Anzi, a prima vista la delega non sembra neppure lasciare spazio alla precisazione – operata invece dalla norma appena richiamata – per cui il downgrade riguarda esclusivamente gli effetti del vincolo coniugale concluso all’estero da cittadini italiani. Per questo stesso motivo l’originaria formulazione dell’art. 32-bis, nello schema di decreto legislativo approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, si limitava a disporre che il matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso dovesse produrre gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana. Tale formulazione aveva subito attirato le critiche di chi aveva evidenziato l’ingiustificata differenza di trattamento tra matrimoni (art. 32-bis) e unioni civili (art. 32-quinquies, su cui v. subito infra) contratti all’estero da persone dello stesso sesso, nella misura in cui una simile scelta, tesa a prescrivere in ogni caso l’applicazione della legge italiana ai soli vincoli coniugali, differenziando invece il trattamento delle unioni civili a seconda del legame esistente con il nostro ordinamento, sembrava apparire irragionevolmente discriminatoria ed in alcun modo necessitata in base al tenore della delega legislativa.
V’è tuttavia margine per ritenere che tale scelta originaria muovesse da una premessa condivisibile: posto che il matrimonio tra persone dello stesso sesso era – e permane – istituto sconosciuto all’ordinamento italiano, esso deve in ogni caso essere soggetto a riqualificazione nel momento in cui se ne vogliano riconoscere gli effetti in Italia, a prescindere dalla nazionalità delle parti contraenti. E, a tenor delle chiare indicazioni contenute nella delega legislativa, a sua volta tale riqualificazione non può che essere operata a favore dell’istituto dell’unione civile di cui alla legge L. n. 76/ 2016.
Viceversa, nella sua formulazione accolta in sede di approvazione definitiva, l’art. 32-bis determina un inevitabile vuoto normativo, laddove estende i propri effetti al caso del matrimonio contratto all’estero (i) tra due cittadini italiani e (ii) tra un cittadino italiano e uno straniero, lasciando però al di fuori del proprio ambito d’applicazione il caso dei (iii) cittadini entrambi stranieri. Come occorre comportarsi nel caso in cui questi ultimi chiedano, ad esempio, la trascrizione in Italia del proprio legame coniugale?”.
L’estensione dell’applicabilità dell’art. 32 bis anche alle coppie c.d. “miste” pare affermata dalla giurisprudenza di legittimità.
Infatti, la Suprema Corte ((Cass. civ., Sez. I, Sent., (data ud. 30/11/2017) 14/05/2018, n. 11696)), si è è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso promosso da una coppia mista same sex, contro il rifiuto dell’amministrazione comunale di trascrivere nei Registri dello Stato Civile italiani il loro matrimonio omoaffettivo contratto all’estero, quale matrimonio, nella pretesa dei ricorrenti che tale unione non dovesse subire il “down grade” a unione civile (di cui alla L. 76/2016).
La Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare quanto segue: “La norma dispone che “Il matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani con persona dello stesso sesso produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana.” La formulazione vigente è frutto di una modifica del testo iniziale, dovuta all’ intervento correttivo sollecitato dalle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia sul testo precedente che non prevedeva la limitazione della conversione in unione civile ai matrimoni contratti da “cittadini italiani” all’estero ma si riferiva genericamente ai matrimoni contratti all’estero, comprendendovi anche i cittadini stranieri.
Tale estensione è stata ritenuta ingiustificata rispetto alla ratio antielusiva posta a base della nuova norma.
In particolare si è ritenuto che quando il matrimonio è stato contratto all’estero da cittadini stranieri non può ravvisarsi in esso alcun intento di aggiramento della L. n. 76 del 2016 e del modello di unione civile vigente nel nostro ordinamento, così da doversi escludere la necessità di derogare alle regole generalmente applicabili di diritto internazionale privato in relazione alla legge applicabile a tale relazione coniugale.
In tale peculiare ipotesi non può essere ignorato il carattere intrinsecamente transnazionale del rapporto matrimoniale contratto tra cittadini stranieri, in quanto caratterizzato da un sufficiente grado di estraneità rispetto al nostro ordinamento, con conseguente operatività dei criteri di collegamento stabiliti negli artt. da 26 a 30 della l. n. 218 del 1995 o, ove applicabili, dei regolamenti UE in materia matrimoniale (Regolamento CE n. 2201 del 2003 e 1259 del 2010).
L’art. 32 bis, in conclusione, non trova applicazione diretta nell’ ipotesi in cui venga richiesto il riconoscimento di un’unione coniugale contratta all’estero tra due cittadini stranieri.
Il testo dell’art. 32 bis lascia tuttavia irrisolta la questione, formante oggetto del presente giudizio, relativa alla trascrizione in Italia del matrimonio tra persone dello stesso sesso, di cui una sia cittadino italiano e l’altro cittadino straniero, contratto all’estero. (…)
Sul piano strettamente testuale, come è stato rilevato anche dalla dottrina, si può cogliere una differenza rilevante tra la formulazione dell’art. 32 bis e quella dell’art. 32 quinquies [rubricata “Unione civile costituita all’estero tra cittadini italiani dello stesso sesso” ndr].
Nella prima norma l’ambito soggettivo di applicazione del nuovo regime riguarda in generale “il matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani” mentre l’art. 32 quinquies, che estende il sistema di tutele previsto dalla L. n. 76 del 2016 anche ad istituti analoghi, si riferisce ad unioni costituite all’estero “tra cittadini italiani”, oltre a richiedere l’ulteriore requisito dell’abituale residenza in Italia.
La differenza testuale ha un significato logico-giuridico chiaro.
L’art. 32 bis esprime la nettezza della scelta legislativa verso il modello dell’unione civile, limitando gli effetti della circolazione di atti matrimoniali relativi ad unioni omoaffettive a quelle costituite da cittadini entrambi stranieri, come rileva l’ indicatore costituito dall’uso del “da”, rispetto alla diversa opzione adottata dall’art. 32quinquies che ha una ratio estensiva del regime giuridico di riconoscimento e tutela contenuto nella L. n. 76 del 2016 a tutti i cittadini italiani, ancorché abbiano dato vita all’estero ad un vincolo munito di un grado inferiore di diritti.
La soluzione indicata è coerente anche con il regime giuridico di diritto internazionale privato relativo alla capacità e alle condizioni per contrarre matrimonio.
L’art. 27, applicabile nella specie, rinvia alla legge nazionale di ciascuno dei nubendi.
Tale criterio nella specie creerebbe un conflitto non risolvibile in ordine alla forma ed agli effetti della trascrizione dell’atto contratto all’estero ove non si adottasse la soluzione interpretativa dell’art. 32 bis cui si è acceduto”
Anche i numerosi commenti dottrinali alla pronuncia hanno concluso che, con la sentenza suddetta, la Corte di Cassazione abbia ammesso l’applicabilità, ad una fattispecie del tutto analoga a quella in esame, dell’art. 32 bis.
Si veda, in tal senso:
– D. Zannoni in “Gli effetti nell’ordinamento italiano delle unioni civili e dei matrimoni same sex conclusi all’estero” [3]secondo cui: “Inoltre, come ha notato la Corte di Cassazione, se l’art. 32-bis non si applicasse anche ai cd matrimoni misti, si determinerebbe una discriminazione cd a rovescio tra i cittadini italiani che, contraendo matrimonio all’estero con uno straniero, potrebbero “trasportare” forma ed effetti del vincolo nel nostro ordinamento e quelli che invece, costituendo il vincolo in Italia, dovrebbero necessariamente aderire al modello di unione civile previsto dalla legge italiana. (…) La Corte di Cassazione invece prima afferma che la norma copre la coppia mista e poi, per escludere dal suo raggio di applicazione la coppia straniera, asserisce la sua funzione antielusiva”;
– V. Caredda in “Matrimonio ‘‘misto’’ : efficacia e prescrivibilità” pubblicato su Nuova Giurisprudenza Civile Commentata 10/2018[4] secondo cui “Poste tali premesse, il giudice di legittimità decide nel senso dell’applicabilità dell’art. 32 bis anche al matrimonio misto, il quale pertanto produrrà in Italia gli effetti dell’unione civile e potrà essere trascritto nell’istituto registro delle unioni civili.
A sostegno della presa di posizione militano le seguenti ragioni di fondo: la scelta legislativa del modello di disciplina, che deve intendersi come livello minimo di tutela garantito a tutti coloro che aspirino a costituire o rendere efficace nello stato un’unione omoaffettiva; il tenore letterale dell’art. 32 bis, il quale prende in considerazione il matrimonio celebrato all’estero “da cittadini italiani con persona dello stesso sesso”, consentendo di desumere che il coinvolgimento anche di un solo cittadino italiano determini l’attrazione verso la disciplina italiana e perciò il downgrading; la circostanza per cui una decisione diversa, ossia nel senso di non considerare applicabile la norma al caso in questione, avrebbe determinato una discriminazione “al rovescio” tra i cittadini italiani e precisamente tra coloro i quali abbiano contratto matrimonio all’estero e trasportato i suoi effetti tal quali nello stato e quelli che abbiano invece costituito un’unione civile;”.
Tuttavia, nello studio appena menzionato, nell’ambito di una forte e aspra critica ai precipitati della sentenza Cassazione 11696/2018, si ritiene “preferibile in via principale una soluzione che sottragga il matrimonio misto all’ambito applicativo dell’art. 32 bis, assoggettandolo alla disciplina risultante dalla legge sul diritto applicabile, compreso l’art. 27 1. n. 218/1995.
Inoltre, non sarebbe improponibile il ricorso all’analogia dell’art. 32 quinquies. Ma la vera alternativa non può essere trascurata: a nostro avviso è possibile rinunziare all’unità della qualificazione dell’atto compiuto e suggerire l’applicazione di un criterio distributivo di identificazione del diritto applicabile, che segua la cittadinanza di ciascun partner e si traduca nel riconoscimento del vincolo come matrimonio per il cittadino straniero ed unione civile per l’italiano.
Una soluzione simile non deve stupire ed è implicitamente adottata dall’art. 32 quinquies.
Non deve stupire soprattutto in un ordinamento che ha conosciuto per un lungo pe- riodo il matrimonio che vincola un solo coniuge, mentre l’altro – cittadino di un paese estero che ammette il divorzio – ne ha ottenuto lo scioglimento nello stato di origine. Situazione ancora più familiare per chi ricordi che il matrimonio celebrato all’estero tra persone di sesso diverso, una delle quali cittadina italiana, produce automaticamente effetto nei confronti di quest’ulti- ma, senza che l’inevitabile asimmetria che ne risulta abbia mai ostacolato tale soluzione.
È implicitamente adottata, inoltre, nel decreto legislativo in commento, nell’art. 32 quinquies, nel quale la diversa cittadinanza dei partners che abbiano formato un’unione civile può comportare l’applicazione di leggi diverse per ciascuno, circostanza che non ha turbato eccessivamente gli interpreti, nemmeno nel caso in cui i due regimi di unione civile applicabili siano tra loro molto diversi. La debolezza dell’argomento letterale si conferma e rivela che il ricorso all’art. 32 quinquies in chiave interpretativa è un’arma a doppio taglio.”;
- Calvigioni in “Gli effetti dell’unione civile nel matrimonio same – sex celebrato all’estero”[5] il quale, ancora commentando la citata pronuncia di legittimità, afferma “Alla luce della sentenza della Cassazione risulta sicuramente più chiaro e definito il quadro delineato dal legislatore: gli effetti del vincolo sorto all’estero tra un cittadino italiano con altro italiano o con uno straniero dello stesso sesso, saranno esclusivamente quelli dell’unione civile. La trascrizione del matrimonio avverrà nel registro delle unioni civili, a n. 1238/1939, secondo la formula n. 193 quinquies del D.M. 27 febbraio 2017, e tale unione sarà annotata a margine dell’atto di nascita utilizzando la formula n. 139 bis dello stesso D.M. 27 febbraio 2017, il cui testo riporta solamente unione civile senza alcun richiamo al matrimonio contratto all’estero.”.
Peraltro, a tale Autore preme precisare anche che il momento in cui avviene la ‘conversione’ del matrimonio celebrato all’estero tra coppie miste in unione civile è quello della trascrizione nei registri di stato civile italiani “occorre chiedersi quando questo avvenga, quale sia il momento in cui quel matrimonio avvenuto all’estero si trasformi in unione civile: ebbene quel momento non potrà essere che l’istante in cui faccia ingresso nel nostro ordinamento e questo avverrà a seguito della trascrizione nei registri di unione civile operata dall’ufficiale di stato civile. A seguito della trascrizione, il matrimonio fa ingresso come tale anche nel nostro ordinamento, solamente che da quell’istante opera la conversione in unione civile e, pertanto, non potrà che essere l’ufficiale dello stato civile a certificare tale conversione, rilasciando documentazione dalla quale risulti non il matrimonio (non riconoscibile come tale), ma l’unione civile”;
- L. Serra in “Sulla trascrizione del matrimonio omosessuale estero e diritti fondamentali della persona” in “Famiglia e Diritto, n. 2, 1 febbraio 2019”[6] nell’abstract di tale studio precisa che “più precisamente, la S.C. nega l’ammissibilità della trascrizione del matrimonio omoaffettivo perché tale tipo di matrimonio è riconducibile alla previsione dell’art. 32 bis della L. n. 18/1995, come modificata dal D.Lgs. n. 7/2017, producendo pertanto gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana non solo quando entrambi i nubendi sono cittadini italiani ma anche se uno di essi è straniero” e ancora “Sia il dato letterale dell’art. 32 bis sia la valutazione sistematica della sua prescrizione, pertanto, consentono agevolmente di sostenere che il matrimonio omoaffettivo contratto all’estero da cittadino italiano produce sempre e soltanto gli effetti dell’unione civile – e come tale è trascrivibile – quale che sia la nazionalità dell’altro coniuge. In altri termini – come sottolineato dalla S. C. – l’art. 32 bis risulta essere “la norma cardine” per stabilire entro quali limiti può essere riconosciuto nel nostro ordinamento l’atto di matrimonio contratto all’estero fra persone dello stesso sesso, nel senso che la norma “non trova applicazione diretta” soltanto “nell’ipotesi in cui venga richiesto il riconoscimento di una unione coniugale contratta all’estero tra cittadini stranieri. (…) La ratio della distinzione tratteggiata dalle norme in esame è facilmente intuibile, atteso che nel nostro ordinamento l’istituto del matrimonio non trova spazio fra cittadini italiani dello stesso sesso e, pertanto, il legislatore si limita a prevedere che nel caso in cui il matrimonio all’estero sia contratto da [almeno un] cittadino italiano, lo stesso produca gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana.
- D. Damascelli in “La legge applicabile ai rapporti patrimoniali tra coniugi, uniti civilmente e conviventi di fatto nel diritto internazionale privato ed europeo” pubblicato in “Rivista di diritto internazionale Anno C Fasc. 4 del 2017” a pag. 1110 ss testualmente afferma che “l’art. 32-bsis si occupa del matrimonio omosessuale contratto all’estero da cittadini italiani, tanto nel caso in cui entrambi i coniugi siano nostri connazionali, tanto nel caso in cui lo sia solo uno di essi” con l’effetto, sostanzialmente, di creare un “down grade” dal regime matrimoniale a quello, deteriore, delle unioni civili così come disciplinate dalla legge italiana.
- Alle medesime conclusioni si perviene nella Rivista di diritto internazionale privato e processuale ott-nov 2019 (ed. CEDAM, Anno LV 4/2019)[7] laddove si precisa che “Ai fini della presente trattazione, occorre distinguere tra il caso in cui il matrimonio sia stato concluso tra un cittadino italiano e un cittadino straniero (ipotesi A) e il caso in cui il matrimonio coinvolga, invece, un cittadino europeo non italiano e un cittadino di uno Stato terzo (ipotesi B).
- A) In questa prima ipotesi, assume particolare rilievo l’art. 32-bis della legge n. 218 del 1995, che dispone la riqualificazione del matrimonio contratto all’estero dal cittadino italiano con persona dello stesso sesso in unione civile e impone l’applicazione della disciplina materiale italiana a tutti gli effetti del matrimonio riqualificato. In altri termini, la norma prevede un c.d. downgrade recognition per i matrimoni che coinvolgano almeno un cittadino italiano e, atteggiandosi a norma di conflitto unilaterale, impone l’applicazione della disciplina materiale italiana, escludendo l’applicabilità delle norme di conflitto introdotte dal legislatore delegato, ivi incluse quelle in materia di validità dell’unione civile”.
– Sul punto, anche B. Barel, in “Cittadinanza e disciplina di conflitto”[8] , che sostiene che il riferimento testuale dell’art. 32 bis L. 218/1995 ai matrimoni contratti “da” italiani, e non “tra” cittadini italiani (contenuto invece nell’art. 32- quinquies), porti a ritenere che la disposizione si applichi anche ai matrimoni contratti da una persona italiana con altra straniera, con la conseguenza che la disposizione finisce così coll’incidere inevitabilmente anche sulla condizione del partner straniero, quand’anche cittadino di altro Stato. Restano invece esclusi dal suo ambito di applicazione i matrimoni omosessuali esteri fra stranieri.
– Da ultimo in “Le unioni civili nel diritto internazionale privato”[9] a cura del Notaio Giuseppe Trapani, A.M. Galiano afferma che “Venendo alla seconda problematica posta, per una ragione di coerenza di sistema, è preferibile ritenere che l’art. 32-bis, data anche la sua formulazione (la norma parla di matrimonio contratto da cittadini italiani e non tra cittadini italiani), si estenda anche alla ipotesi di matrimonio tra cittadino italiano e cittadino straniero. Del resto, come evidenziato [v. D. Damascelli, La legge applicabile ai rapporti patrimoniali tra coniugi, uniti civilmente e conviventi di fatto nel diritto internazionale privato italiano e europeo, in Riv. dir. int. priv., 2017, p. 1110], opinando diversamente, si giungerebbe alla conclusione inaccettabile di privare di ogni effetto il vincolo matrimoniale contratto all’estero dall’italiano ed uno straniero entrambi del medesimo sesso. Infatti, se non venisse riconosciuta alla ipotesi in esame l’effetto dell’unione civile, si configurerebbe una discriminazione irragionevole tra matrimonio contratto all’estero tra cittadini entrambi italiani e quello invece tra un italiano ed uno straniero. Non sembra essere questa la volontà del legislatore come cristallizzata nella norma in commento”.
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In conclusione, pare potersi affermare con sufficiente grado di certezza che, alle unioni matrimoniali same sex contratte all’estero tra cittadini aventi cittadinanza diversa (c.d. ‘coppie miste’), di cui almeno uno sia italiano, possa applicarsi l’art 32 bis.
Allo stato di celebrazione del matrimonio viene demandata la sola verifica dei requisiti circa la validità del matrimonio in questione ma, per quanto concerne lo ‘svolgimento’ del rapporto matrimoniale, la riforma ha inteso evitare che le coppie omosessuali (o di nazionalità italiana o mista) che abbiano contratto matrimonio all’estero possano godere di diritti maggiori rispetto a quelli di cui gode una coppia omosessuale unita civilmente in Italia.
Pertanto, come osservato in dottrina ( cfr. Damascelli cit.) il matrimonio-atto e il matrimonio-rapporto risulteranno disciplinati da leggi diverse.
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In definitiva, ed in estrema sintesi, è possibile individuare le fattispecie cui le singole norme introdotte dal d.lgs 7/2017 debbono applicarsi:
- Matrimoni same sex contratti all’estero da cittadini italiani o da cittadini italiani e stranieri (c.d. coppie ‘miste’): applicazione dell’art. 32 bis con conseguente conversione del matrimonio omoaffettivo celebrato all’estero, in seguito alla trascrizione nei registri di stato civile italiani, in unione civile di cui alla L. 76/2016;
- Unioni civili celebrate all’estero da cittadini entrambi italiani e entrambi abitualmente residenti in Italia: applicazione dell’art. 32 quinquies con conseguente applicazione degli effetti dell’unione civile di cui alla L. 76/2016.
La norma anzidetta impone la ricorrenza di entrambi i requisiti (cittadinanza italiana comune e residenza abituale in Italia ossia non è sufficiente la residenza anagrafica) che devono coesistere o sin dall’instaurazione del rapporto o possono sopravvenire in un momento successivo alla celebrazione dell’unione. Anche tale norma, al pari dell’esaminato art. 31 bis, tende ad evitare che due cittadini italiani residenti in Italia, celebrando all’estero la propria unione civile, possano essere sottoposti ad una disciplina diversa da quella di cui alla L. 76/2016, ossia quindi, una disciplina maggiormente similare a quella tipicamente matrimoniale.
Come correttamente evidenziato dalla dottrina (cfr. Damascelli cit.) in queste ipotesi non necessariamente si assiste ad un “down grade” delle unioni posto che, in mancanza di questa norma, si applicherebbe l’art. 32 ter il quale impone l’applicazione della legge dello stato in cui è stata celebrata l’unione legge che, teoricamente, potrebbe prevedere anche differente con il tradizionale istituto del matrimonio anche maggiori di quelle presenti nel nostro paese; - Unione civile tra maggiorenni o entrambi italiani o di diversa nazionalità ma residenti all’estero: rientra nella disciplina di cui all’art. 32 ter con conseguente applicazione della legge dello stato davanti alle cui Autorità è stata celebrata l’unione. In tali fattispecie, infatti, il legame con il nostro paese risulta affievolito, e una applicazione ‘forzata’ della nostra disciplina nazionale apparirebbe oltremodo irragionevole;
- Matrimonio same sex celebrato all’estero tra cittadini stranieri: non si ritiene applicabile nessuna delle precedenti norme, ritenendo viceversa che trovino applicazione gli artt. 29 e ss. L. 218/1995.
In particolare, l’art. 30 L. 218/1995, relativo ai rapporti patrimoniali tra coniugi, che rimanda al precedente art. 29 che disciplina i rapporti personali tra coniugi, individua quale applicabile la legge nazionale comune dei coniugi o, in mancanza (nessuna cittadinanza comune o più cittadinanze comuni), quella dello stato in cui la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata, salva, ovviamente la professio iuris in favore di una legge diversa.
(sul punto, si veda la più volte citata sentenza Cass. n. 11696/2018 che esclude l’applicabilità dell’art. 32 bis a tali unioni “In particolare si è ritenuto che quando il matrimonio è stato contratto all’estero da cittadini stranieri non può ravvisarsi in esso alcun intento di aggiramento della L. n. 76 del 2016 e del modello di unione civile vigente nel nostro ordinamento, così da doversi escludere la necessità di derogare alle regole generalmente applicabili di diritto internazionale privato in relazione alla legge applicabile a tale relazione coniugale. In tale peculiare ipotesi non può essere ignorato il carattere intrinsecamente transnazionale del rapporto matrimoniale contratto tra cittadini stranieri, in quanto caratterizzato da un sufficiente grado di estraneità rispetto al nostro ordinamento, con conseguente operatività dei criteri di collegamento stabiliti negli artt. da 26 a 30 della l. n. 218 del 1995 o, ove applicabili, dei regolamenti UE in materia matrimoniale (Regolamento CE n. 2201 del 2003 e 1259 del 2010).”
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- Regime patrimoniale previsto per le unioni civili dalla L. 76/2016
Tornando al quesito iniziale, individuata quindi la legge applicabile al matrimonio oggetto della presente analisi, occorrerà indagare a quale regime patrimoniale siano sottoposti i beni immobili acquistati (ivi compresi quelli pervenuti per successione) dalla cittadina italo britannica, prima della instaurazione del rapporto di coniugio, al fine di comprendere se, in seguito alla cessazione del vincolo coniugale, il coniuge non acquirente possa vantare diritti su tale bene.
Trattasi, quindi, di beni pervenuti alla coniuge ben prima della celebrazione del matrimonio.
Ferma l’applicabilità dell’art. 32 bis e quindi, che gli effetti del matrimonio celebrati all’estero producono gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana, occorre esaminare la L. 76/2016 anche per ciò che concerne il regime patrimoniale.
In particolare, l’art. 1, 13° comma L. 76/2016 statuisce che “3. Il regime patrimoniale dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, in mancanza di diversa convenzione patrimoniale, è costituito dalla comunione dei beni. In materia di forma, modifica, simulazione e capacità per la stipula delle convenzioni patrimoniali si applicano gli articoli 162, 163, 164 e 166 del codice civile. Le parti non possono derogare né ai diritti ne’ ai doveri previsti dalla legge per effetto dell’unione civile. Si applicano le disposizioni di cui alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile”.
Il richiamo alle “disposizioni di cui alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile” e in particolare alla Sezione III, consente di affermare che la coniuge straniera con cui la cittadina italiana abbia contratto matrimonio omoaffettivo all’estero non possa vantare alcun diritto sui beni acquistati dalla cittadina italiana in epoca precedente al matrimonio (sia a titolo derivativo sia in seguito a successione mortis causa), poiché essi rientrano nell’elenco di cui all’art. 179 c.c. (rubricato “Beni personali) che alla lettera a) ricomprende i beni di cui prima del matrimonio, il coniuge era proprietario, tra i beni personali del coniuge che non costituiscono, pertanto, oggetto di comunione.
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[1] https://www.dpceonline.it/index.php/dpceonline/article/view/896
[2] https://iris.unige.it/retrieve/e268c4c8-0311-a6b7-e053-3a05fe0adea1/Unioni%20civili%20e%20d.i.p.%20%28d.lgs.%207-2017%29.pdf
[3] https://www.dpceonline.it/index.php/dpceonline/article/view/896
[4] https://onelegale.wolterskluwer.it/document/matrimonio-misto-efficacia-e-trascrivibilita/10AR0000220739ART1?contentModuleContext=all
[5] https://edicolaprofessionale.com/bd/rivisteI0RW/30/130/9950130_FADI_00135001_2019_02_0213.pdf
https://onelegale.wolterskluwer.it/document/sulla-trascrizione-del-matrimonio-omosessuale-estero-e-diritti-fondamentali-della-persona/10AR0000242298ART1
[7] https://edicolaprofessionale.com/bd/rivisteI0RW/68/968/10212968_00142436_2019_4.pdf
[8] https://www.aisdue.eu/b-barel-cittadinanza-e-disciplina-di-conflitto-delle-unioni-civili-p-171-ss/
[9] https://onelegale.wolterskluwer.it/document/le-unioni-civili-nel-diritto-internazionale-privato/10DT0000050824ART1