Studio Legale LdV Viareggio | Riconoscimento non veritiero del figlio nato fuori dal matrimonio: cosa accade se il padre che ha operato il riconoscimento scopre dopo molti anni la propria impossibilità di procreare?
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Riconoscimento non veritiero del figlio nato fuori dal matrimonio: cosa accade se il padre che ha operato il riconoscimento scopre dopo molti anni la propria impossibilità di procreare?

L’IMPUGNAZIONE DEL RICONOSCIMENTO DI FIGLIO NATO FUORI DAL MATRIMONIO E IL DIRITTO ALLA STABILITÀ DELLO STATUS GIÀ ACQUISITO: QUALI STRUMENTI OFFRE L’ ORDINAMENTO?

Ipotizziamo il caso (non infrequente) in cui Tizio, convivente di Caia, riconosca come proprio il figlio Sempronio avuto da quest’ultima. Dopo aver contratto matrimonio, Tizio e Caia, decidono di separarsi e, dopo dieci anni dalla celebrazione delle nozze, di divorziare.
Nelle more, Tizio, a seguito di esami medici approfonditi, apprende della sua infertilità, ma, oramai legato indissolubilmente al minore Sempronio non intende rivedere la propria posizione sul riconoscimento ormai avvenuto oltre un decennio prima. Viceversa, la madre Caia scoperta l’infertilità del coniuge, e a seguito dell’inasprimento dei rapporti con quest’ultimo dovuti ad un burrascoso divorzio, decide di impugnare il difetto di veridicità della dichiarazione fatta oramai oltre dieci anni prima da Tizio in merito alla paternità del figlio, risultando quest’ultima in realtà mendace.

Orbene, preliminarmente occorre analizzare l’istituto del riconoscimento del figlio naturale (oggi dicasi nato fuori dal matrimonio) e le modifiche intervenute a seguito della riforma della filiazione avvenuta con la legge n. 219 del 2012 e successivo decreto legislativo n. 154 del 2013.
A seguito di detta riforma, infatti, è finalmente venuta meno qualsiasi forma di discriminazione tra figli legittimi e figli naturali, giungendosi così a una parificazione degli status di filiazione.
Ad oggi vi è un’unica condizione di “figlio”: l’unica differenza ammissibile risulta essere quella derivante dalla modalità di accesso allo status, a seconda che la nascita sia avvenuta, o meno, all’interno del matrimonio dei genitori.

Attualmente le azioni di stato nel settore della filiazione, cioè le azioni giudiziali volte ad attribuire ad un soggetto lo status filiationis nei confronti di uno ovvero di entrambi i genitori o altresì ad espungere uno stato acquisito ma non veritiero sono quelle che tendono al riconoscimento della paternità (artt. 243-bis-247 c.c.), alla contestazione o al reclamo dello status (art. 248 e 249 c.c.), all’impugnazione del riconoscimento di figlio nato fuori dal matrimonio (artt. 263-268 c.c.) e alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità (art. 269 c.c.).

Nella fattispecie in esame, ci occuperemo in particolare dell’azione di impugnazione del riconoscimento di figlio nato fuori dal matrimonio, essendo il piccolo Sempronio nato prima del matrimonio tra Tizio e Caia; questa infatti è l’unica azione con cui la madre Caia potrebbe far valere i diritti del minore.

Procedendo dunque con l’analisi di detto istituto, merita evidenziare quali effetti produca il riconoscimento. Si ritiene infatti che alla base del riconoscimento vi sia la dichiarazione di un fatto vero e che, quindi, la persona riconosciuta sia davvero figlia di colui che la riconosce.
Ad ogni modo, la legge prevede che il riconoscimento possa essere impugnato in qualsiasi momento nel caso in cui non esso corrisponda a verità: ciò rappresenta la principale azione di caducazione dello status di figlio (nel caso in esame nato fuori dal matrimonio).

L’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità può essere proposta, secondo quanto previsto dall’art. 263, comma 1 c.c. da:
– l’autore del riconoscimento;
– colui che è stato riconosciuto: Se colui che è stato riconosciuto è minorenne, il giudice, su istanza del minore che abbia compiuto i quattordici anni, ovvero, se di età inferiore, del pubblico ministero o dell’altro genitore che abbia riconosciuto in modo valido il figlio, può autorizzare l’impugnazione da parte del minore, nominando a tal fine un curatore speciale.
– chiunque vi abbia interesse (ad esempio il vero genitore del minore o gli eredi dell’autore del riconoscimento per escludere il riconosciuto dalla successione);

L’impugnazione per difetto di veridicità può essere accolta mediante la prova, data con qualsiasi mezzo, che il rapporto di filiazione oggetto di riconoscimento non sussiste.

Quanto alla prescrizione dell’azione, la vecchia formulazione dell’art. 263 non prevedeva un periodo entro il quale effettuare il disconoscimento e in questo modo dunque, poteva essere effettuato anche a distanza di molti anni, così causando però un enorme turbamento della sfera psichica e morale del figlio naturale, il quale si trovava così a subire una continua discussione della sua identità personale.
La norma aveva suscitato dubbi di costituzionalità al punto che il Tribunale di Bolzano aveva rimesso la questione alla Corte Costituzionale per contrarietà dell’art. 263 c.c. con gli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost., nella parte in cui non era sottoposto ad un termine annuale di decadenza il diritto del genitore di esperire l’azione di impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto di veridicità (Corte Cost., sentenza 12 gennaio 2012, n. 7).

Infatti, il figlio nato nel matrimonio, decorso il termine di decadenza, avrebbe potuto contare sul persistere del legame e sui diritti economici ed ereditari derivanti dal suo status, mentre il figlio nato da genitori non coniugati, seppur riconosciuto, avrebbe continuato ad essere esposto al rischio che il dichiarato padre potesse ripensarci e impugnare il riconoscimento in ogni momento.

A seguito della riforma della filiazione, oggi l’autore del riconoscimento di figlio nato al di fuori del rapporto fondato su matrimonio può proporre l’azione di impugnazione entro un anno dall’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita, nel caso in cui l’impugnazione si fondi sull’impotenza di generare ed egli dimostri di non esserne stato a conoscenza al tempo del concepimento il termine decorre dal momento dell’avvenuta conoscenza.
In ogni caso, l’azione non può essere proposta decorsi cinque anni dall’annotazione del riconoscimento mentre riguardo al figlio è imprescrittibile.
Il riconoscimento può essere impugnato anche se l’autore del riconoscimento vi è stato costretto con violenza ex art. 265 c.c. o se egli era interdetto giudiziale al momento in cui è avvenuto ex art. 266 c.c. e in questi casi l’azione deve essere accolta anche laddove il riconoscimento corrisponda a verità, poiché l’autore dell’atto non lo ha compiuto spontaneamente o non era in grado di valutarne le conseguenze; non assumono rilevanza invece gli altri vizi del consenso come l’errore e il dolo se il riconoscimento corrisponde a verità in quanto in questo caso deve prevalere l’interesse a lasciar fermo l’acquisto dello status di figlio riconosciuto.

La Corte di Cassazione con recente sentenza n. 1957 del 2 febbraio 2016 ha definitivamente arginato l’orientamento che negava al minore la qualità di parte nei procedimenti in cui si discute del suo status a seguito di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità.
La Corte ha ritenuto che vi sia oramai una sostanziale equiparazione tra la disciplina codicistica dell’azione di disconoscimento della paternità del figlio nato nel matrimonio e quella dell’impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento del figlio nato al di fuori dell’unione coniugale, disciplinate rispettivamente dai novellati artt. 243-bis e 263 e 264 c.c., ciò soprattutto alla luce della parificazione dei termini di decadenza e prescrizione dell’esperibilità delle due azioni dal momento che ante riforma il figlio nato da genitori non coniugati avrebbe potuto soggiacere ad un’azione ex art. 263 c.c. sine die con inevitabili ripercussioni a livello personale e patrimoniale, mentre con la nuova normazione sia l’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità che quella di disconoscimento della paternità all’interno del vincolo matrimoniale sono imprescrittibili solo riguardo al figlio, mentre gli altri legittimati che intendano agire con tali azioni di contestazione dello status, devono rispettare i nuovi brevi termini di cui sopra.

L’imprescrittibilità riguardo al figlio delle azioni di cui agli artt. 243-bis e 263 c.c. risponde all’interesse primario e diritto fondamentale alla propria identità e conoscenza della discendenza biologica, mentre la decadenza prevista nel caso in cui le azioni siano esercitate dagli altri legittimati tutela comunque il diritto del figlio alla stabilità dello status già acquisito.

La soluzione cui è pervenuta la Cassazione deriva anche dall’interpretazione sistematica delle norme sovranazionali e convenzionali che impongono il riconoscimento di parte al minore in tutti i procedimenti e le questioni che lo riguardano attribuendogli veri diritti processuali che debbono poi essere opportunatamente garantiti dalla legislazione interna. Imprescindibile il richiamo alla sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale dell’11 marzo 2011, n. 83 che colloca il figlio al centro della giustizia minorile e che prevede che il conseguimento del preminente interesse della prole passi attraverso l’ascolto e la sua partecipazione diretta al giudizio o tramite un rappresentante ogniqualvolta sia ravvisabile un conflitto di interessi con i detentori del potere di rappresentanza.

Alla luce di quanto appena analizzato, nella fattispecie in oggetto dunque, essendo trascorsi oramai dieci anni dall’avvenuto riconoscimento, l’azione risulta prescritta per tutti i soggetti coinvolti e/o interessati, ad eccezione del figlio minore.

Consulenza d’ufficio ematologica – esame genetico

Sempre sul punto, in ordine all’obbligo scaturente dall’azione in oggetto di sottoporsi ad esame genetico, è stato ribadito dagli Ermellini il carattere “decisivo” della consulenza tecnica d’ufficio ematologica, o genetica (Cass., 13 novembre 2015, n. 23290) nel giudizio di impugnazione del riconoscimento di figli nati fuori dal matrimonio per difetto di veridicità e il rifiuto ingiustificato dell’autore del falso riconoscimento, secondo la Corte di Cassazione, che sul punto si è pronunciata con sentenza n. 18626/2017, configurerebbe una “decisiva” fonte di convincimento in presenza di una situazione di incertezza, sul piano probatorio, circa la sussistenza o meno del rapporto di filiazione e deve essere valutato dal giudice, ai sensi del comma 2 dell’art. 116 del c.p.c.. In base ai più recenti orientamenti, tuttavia, merita sottolineare come l’accesso alla prova genetica debba necessariamente essere preceduto dal positivo vaglio di almeno un principio di prova ovvero un’adeguata istruttoria testimoniale (ex multis, Cass. n. 10585/2009; n. 17895/2013; n. 3217/2014; n. 6136/2015).

In ragione di quanto esposto, è evidente come la madre del minore non possa più proporre impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità essendo oramai trascorsi più di cinque anni dall’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita, termine entro cui l’azione si prescrive per i soggetti legittimati diversi dal figlio e dall’autore del riconoscimento mendace.
Tuttavia, come evidenziato poc’anzi, ai sensi dell’articolo 264 del codice civile, l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto quattordici anni, ovvero del pubblico ministero o dell’altro genitore che abbia validamente riconosciuto il figlio, quando si tratti di figlio di età inferiore; proprio quest’ultimo è l’istituto applicabile alla fattispecie concreta in oggetto, mediante il quale la madre potrà tutelare l’interesse superiore del figlio minore alla propria identità presentando istanza affinché il giudice proceda con la nomina di curatore speciale che a sua volta promuoverà l’azione di stato esaminata in questa sede.