12 Giu RISARCIMENTO DEL DANNO PER MORTE DEL CONGIUNTO DA FATTO ILLECITO DEL TERZO: DAL RISARCIMENTO NON SI DECURTANO LE SOMME PERCEPITE CON LA PENSIONE DI REVERSIBILITÀ
Dal risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui non deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità riconosciuta dall’Inps al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto.
Con la recentissima sentenza n.12564 pubblicata 22 maggio 2018, le Sezioni Unite Suprema Corte di Cassazione si sono pronunciata in merito al ricorso promosso dalla signora M.F., la quale aveva agito in giudizio al fine di ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale patito a seguito della morte del proprio congiunto occorsa a causa di sinistro stradale causato da S.F..
L’attrice aveva altresì convenuto in giudizio anche la compagnia assicuratrice della responsabile.
In particolare, la richiesta di ristoro di danno patrimoniale avanzata dall’attrice, la quale lamentava di aver subito la perdita dell’aiuto economico fornita dal coniuge, fu respinta in primo grado ed in sede di gravame: le corti adite ritenevano infatti che la stessa attrice godeva di redditi da pensione superiori a quelli del defunto coniuge ed aveva inoltre beneficiato, in seguito alla morte dello stesso, della pensione di reversibilità, pari al 60% della pensione percepita dallo scomparso; pertanto, tale erogazione “elideva l’esistenza stessa di un danno patrimoniale”.
A seguito di ricorso per Cassazione presentato dalla attrice soccombente, la questione giuridica posta all’esame delle SS.UU. è stata posta nei termini che seguono: Il danno patrimoniale patito dal coniuge di persona deceduta, consistente nella perdita di aiuto economico offerto dal defunto, deve essere liquidato detraendo dal credito risarcitorio il valore capitalizzato della pensione di reversibilità accordata al superstite dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale?”
Il Supremo Consesso ha quindi risolto il contrasto giurisprudenziale che si erano formato in merito: da un lato, la giurisprudenza maggioritaria riteneva che la pensione di reversibilità a favore dei congiunti della vittima non deve essere considerata ai fini della liquidazione del danno patrimoniale da morte del familiare. Tale erogazione non ha infatti natura risarcitoria né la sua erogazione può in alcun modo considerarsi collegata al fatto illecito. Il danneggiante potrebbe pretendere la compensazione ( c.d. compensatio lucri cum danno) solo se anche il vantaggio sia stato da lui determinato a causa del fatto illecito; viceversa, la compensazione non può essere pretesa ove la morte costituisca solo la condizione affinché quel titolo (id est l’erogazione della pensione di reversibilità) spieghi l propria efficacia.
Tale orientamento è stato messo in discussione solo nel 2014, quando Cassazione sent. n. 13537/2014 ha invece affermato l’opposto principio del non cumulo: la ratio di tale posizione viene rinvenuta nella natura indennitaria della pensione di reversibilità la quale ha come funzione propria quella di tutelare i familiari del defunto dallo stato di bisogno derivante dalla scomparsa, escludendo quindi, nei limiti di tale valore, la possibilità di un danno risarcibile. Secondo la suddetta sentenza, il danneggiato non deve impoverirsi a seguito del danno, né, viceversa, arricchirsi: il ristoro del danno non deve infatti comportare un miglioramento della situazione preesistente.
Nel risolvere il contrasto suillustrato, le Sezioni Unite prendono le mosse dall’assunto per cui “il risarcimento deve coprire tutto il danno cagionato, ma non può oltrepassarlo, non potendo costituire fonte di arricchimento del danneggiato, il quale deve invece essere collocato nella stessa curva di indifferenza in cui si sarebbe trovato se non avesse subito l’illecito“; il risarcimento non può quindi superare il danno effettivamente subito ed occorre quindi decurtare dal risarcimento le poste positive ( intese quali effetti vantaggiosi di cui ha beneficiato il danneggiato).
Nei casi come quello in esame, si ha un duplice rapporto bilaterale: da un lato una relazione creata dal fatto illecito ( regolata dalla disciplina in materia di responsabilità civile) che consente ai congiunti della vittima di ottenere il risarcimento del danno da fatto illecito in conseguenza della perdita di sostentamento economico assicurato in vita dal defunto, dall’altro, l’erogazione della pensione di reversibilità, derivante dalla legislazione previdenziale, che consente ai medesimi familiari di beneficiare di tale sostentamento anche ove la morte derivi da fatto illecito del terzo.
La pensione di reversibilità, in particolare, non ha la finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato dovuto al fatto illecito del terzo; non ha natura indennitaria ma costituisce la ”promessa” rivolta al lavoratore che, ove egli venisse a mancare prima o dopo il pensionamento, per qualsiasi causa questo accada, i suoi congiunti potranno beneficiare di un trattamento diretto a tutelare la continuità del sostentamento e a prevenire o ad alleviare lo stato di bisogno.
In conclusione, non è consentita la detrazione della pensione di reversibilità dalle altre conseguenze derivanti dal fatto illecito, poiché tale erogazione non ha la funzione di risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato ma trova la propria causa nel rapporto di lavoro pregresso.