05 Apr IL DIRITTO DELL’ADOTTATO A CONOSCERE L’IDENTITÀ DEI PROPRI FRATELLI E SORELLE BIOLOGICI E TUTELA DELLA RISERVATEZZA – QUALE BILANCIAMENTO?
Cassazione civile – Sent. n. 6963 del 20 marzo 2018
Con la recentissima sentenza n. 6963/2018, la Corte di Cassazione ha affermato il diritto dell’adottato di conoscere le generalità dei propri fratelli biologici, così pronunciandosi definitivamente sul diritto inviolabile alla propria identità personale, non solo in riferimento alla conoscenza dei legami esistenti con i genitori, ma anche con gli altri parenti, nel caso di specie sorelle e fratelli biologici adulti.
Tale pronuncia ha senza dubbio confermato la necessità del bilanciamento tra il diritto di ogni soggetto alla conoscenza delle proprie origini e quello alla riservatezza degli altri individui coinvolti.
Prima di analizzare il quadro normativo e giurisprudenziale delineato sul punto dalla Cassazione, è opportuno soffermare l’attenzione sulla fattispecie posta a fondamento dello stesso e oggetto della suddetta pronuncia.
Il caso de quo vede rigettata, sia dal Tribunale per i minorenni sia dalla Corte d’Appello di Torino, l’istanza, promossa da un soggetto adottato, volta conoscere le generalità delle sorelle biologiche; nel caso in esame i fratelli biologici erano stati divisi a seguito di adozione da parte di famiglie diverse.
Il ricorrente sosteneva da un lato l’applicazione della Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia del 20 novembre 1989 e dall’altro riteneva doversi applicare l’orientamento giurisprudenziale, affermato da alcune sentenze di merito, secondo cui il Tribunale per i minorenni ben può bilanciare il diritto al legame familiare e quello relativo ma contrapposto alla riservatezza dei fratelli biologici coinvolti.
La Corte d’Appello, considerando che la legge n. 184 del 1983 in materia di adozione apprezza il diritto ai legami familiari limitatamente alle sole origini dei genitori biologici e alla loro identità, ha ritenuto che sul diritto alla relazione con le proprie sorelle biologiche prevalesse quello alla riservatezza, anche mediante la previsione del reato di cui all’art. 73 della suddetta legge. Infatti, l’accesso ai dati personali dei fratelli biologici adottati sarebbe stato destinato, secondo la Corte, a ripercuotersi sugli equilibri precari connessi allo stato di soggetto adottato delle sorelle, nonché su quelli dei genitori adottivi delle medesime.
Avverso tale pronuncia l’istante ha dunque proposto ricorso per Cassazione; con il primo motivo è stata dedotta la violazione degli articoli 7 e 8 della Convenzione di New York su diritti del fanciullo del 20 ottobre 1989, ove è sancito il rispetto dei diritti del minore – compresi quelli volti a preservare la sua identità, il suo nome e le sue relazioni familiari – nonché quella dell’articolo 30 della Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 ed infine l’errata interpretazione dei commi 4 e 5 dell’articolo 28 della legge n. 184 del 1983, ritenendo che si possano comprendere nei legami familiari ivi menzionati anche quelli con i fratelli e sorelle.
Nel secondo motivo il ricorrente sottolinea come una fase istruttoria riservata tutelerebbe il diritto alla riservatezza delle sorelle.
Merita sottolineare che, stante l’età dell’adottato pari a venticinque anni, il Collegio ha ritenuto di escludere l’obbligatorietà della partecipazione del pubblico ministero al procedimento e ha invero statuito la possibilità per l’istante di accedere alle informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici secondo quanto previsto dal paradigma normativo, secondo il quale, prima del raggiungimento del venticinquesimo anno di età, l’accesso è consentito solo se sussistono ragioni gravi e attinenti alla salute psicofisica dell’adottato, mentre con il raggiungimento di tale età il soggetto vanta un diritto di carattere potestativo.
L’adottato, con l’azione posta in essere, persegue l’interesse primario di avere precisa conoscenza della propria discendenza biologica per prendere coscienza di una sempre più precisa identità personale.
Tale diritto alla conoscenza della propria storia personale e dei terzi eventualmente coinvolti, è stata oggetto di profonda attenzione e di numerosi interventi delle Corti supreme nazionali e sovranazionali.
Sull’esigenza di equilibrare i diritti contrapposti della persona interessata a scoprire le proprie origini biologiche da un lato, e quella della madre biologica che al momento del parto ha esercitato il diritto a non essere nominata dall’altro, è intervenuta la Corte Europea dei diritti umani; con la sentenza del 25 settembre 2012 la menzionata Corte ha affermato che l’esclusione della possibilità di ricostruire la propria identità personale costituisce una violazione dell’articolo 8 CEDU.
Sul punto è intervenuta anche la Corte Costituzionale che, con sentenza n. 278 del 2013, ha individuato una vera e propria metodologia al fine di bilanciare gli interessi confliggenti partendo da un’ indagine sulla volontà della madre biologica di eliminare il segreto sulla propria identità, rimuovendo così la norma sull’assolutezza ed intangibilità della scelta dell’ anonimato posta in essere al momento del parto; è inoltre doveroso evidenziare come con la sentenza n. 1946 del 2017, le Sezioni Unite della abbiano ritenuto che, a seguito della poc’anzi menzionata pronuncia della Corte Costituzionale, possa procedersi all’interpello materno all’interno di un procedimento garantito dalla massima riservatezza per provocare la revoca dell’originario segreto.
Addivenendo adesso all’analisi puntuale del ragionamento logico-giuridico a fondamento della pronuncia oggetto di esame nella presente dissertazione, la Corte di legittimità ha posto la propria attenzione su quanto disposto dall’ articolo 28 della legge 184 del 1983: “l’adottato, raggiunta l’età di venticinque anni, può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici”.
Da un’analisi testuale della norma emerge una questione di natura interpretativa: tale riferimento normativo sull’ origine dell’adottato è da intendersi limitato all’identità dei soli genitori biologici o con tale formula il legislatore ha voluto estendere il diritto dell’adottato, che abbia raggiunto i 25 anni di età, a conoscere le origini dell’ intero nucleo familiare?
Alla luce di quanto sopra osservato, il Collegio ha dunque interpretato estensivamente la norma in modo da valorizzare quel richiamo testuale al diritto di accedere alle informazioni sulla propria origine così da includervi, anche se ivi non espressamente menzionati, i più stretti congiunti (come i fratelli e le sorelle), rilevando tuttavia come le modalità di esercizio del diritto nei confronti dei genitori biologici e nei confronti degli altri componenti il nucleo familiare non possano essere identiche.
In particolare, se nei confronti dei genitori biologici il legislatore ha ritenuto, da un lato, preminente il diritto dell’adottato e dall’altro non necessario alcun bilanciamento d’interessi da eseguirsi ex post, lo stesso non può dirsi rispetto alle posizioni dei fratelli e sorelle, stante la naturale contrapposizione tra il diritto del richiedente di conoscere le proprie origini, e quello delle sorelle e dei fratelli a non voler rivelare la propria parentela biologica mantenendone il riserbo ed eventualmente a non veder pregiudicato l’equilibrio della propria vita privata.
E’ solo nei confronti dei genitori biologici, dunque, che il diritto alla conoscenza delle proprie origini può essere configurato alla stregua di un diritto potestativo.
Pur non sussistendo per le sorelle ed i fratelli un divieto a far conoscere la propria identità, come quello espresso dalla madre biologica che ha scelto l’anonimato al momento del parto, al fine di consentire l’esercizio del diritto a conoscere le proprie origini anche nei confronti di soggetti diversi dai genitori biologici è necessario, secondo i giudici di legittimità, bilanciare le diverse posizioni in gioco, posto che i congiunti diversi dai genitori biologici possono non assentire alla richiesta ma devono essere interpellati al riguardo, nel rispetto del trattamento dei dati sensibili personali che, come tali, sono riservati e protetti dalle ingerenze di terzi.
L’adottato richiedente ed i fratelli sono portatori quindi di diritti omogenei senza alcuna prevalenza gerarchica; tali diritti però, come evidenziato nel presente commento, sono diversi e devono pertanto essere bilanciati per mezzo di procedimenti di interpello, previsti dai vari protocolli elaborati dai Tribunali per i Minorenni.
Concludendo, alla luce di quanto sopra, la Corte ha riconosciuto quale diritto inviolabile inerente alla personalità dell’individuo non solo il mero diritto alla conoscenza dell’identità dei genitori biologici ma anche la conoscenza dell’identità dei fratelli e sorelle facenti parte del proprio nucleo familiare di appartenenza; il ricorso è stato dunque accolto e la pronuncia impugnata cassata con rinvio al giudice del merito perché si attenga al seguente principio di diritto: ‘L’adottato ha diritto, nei casi di cui all’art. 28,c.5., I. n. 184 del 1983, di conoscere le proprie origini accedendo alle informazioni concernenti, non solo l’identità dei propri genitori biologici, ma anche quella delle sorelle e fratelli biologici adulti, previo interpello di questi ultimi mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità dei soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all’accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell’esercizio del diritto’.